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Art. 10. La pedagogia della bontà

 

I Salesiani Cooperatori nel loro impegno educativo:

§1. attuano il “Sistema Preventivo” di Don Bosco, esperienza spirituale ed educativa che si fonda su ragione, religione e amorevolezza;

 

§2. favoriscono un ambiente familiare in cui il dialogo costante, la presenza animatrice, l’accompagnamento personale e l’esperienza di gruppo aiutano a percepire la presenza di Dio;

 

§3. promuovono il bene ed educano all’amore per la vita, alla responsabilità, alla solidarietà, alla condivisione, alla sinergia ed alla comunione;

 

§4. fanno appello alle risorse interiori della persona e credono nell’azione invisibile della grazia. Guardano ogni giovane con ottimismo realista, convinti del valore educativo dell’esperienza di fede. La loro relazione con i giovani è ispirata da un amore maturo e accogliente.

 

SCHEDA

 

 

Nuclei tematici

 

 

  1. Attuare il Sistema preventivo

  2. Favorire un ambiente familiare

  3. Educare all’amore per la vita

  4. Appellarsi alle risorse interiori della persona

 

 

Chiavi di lettura

 

 

«L’educatore è un individuo consacrato al bene dei suoi allievi, perciò deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fine, che è la civile, morale, scientifica educazione dei suoi allievi» (Trattatello).

«Sono pochi giorni che vivo separato da voi, o miei figlioli, e mi sembra essere già scorsi più mesi. Voi siete veramente la mia delizia e la mia consolazione e mi mancano l’una e l’altra di queste due cose quando sono lontano da voi» (MB XVII 369).

 

  1. Attuare il Sistema Preventivo

Il sistema preventivo è l’educatore. L’espressione potrebbe sembrare esagerata, forzata, paradossale. Eppure non sembra lontano dal vero affermare che il sistema preventivo di Don Bosco si identifica con la persona dell’educatore, tanta è la fiducia concessagli. La funzione predominante dell’educatore giunge ad assumere i tratti di una consacrazione, quasi di una vocazione. L’educazione dunque, più che un tipo di lavoro, è una forma di vita, poiché non «produce» cose materiali, ma «costruisce» persone dotate di progetti, idee, certezze, speranze, anima. All’educatore si richiederà allora non solo competenza pedagogica e capacità relazionali, ma una precisa identità.

 

  • Stare accanto al ragazzo

Al centro del sistema si colloca il giovane e le sue aspirazioni; al suo fianco però disponibile a porsi totalmente e lealmente dalla sua parte sta l’educatore. Pertanto ogni educazione diventa, per così dire, «coeducazione»; non tanto nel senso di «educazione reciproca», a doppio senso, tra adulto e giovane, quanto nel senso che sono chiamati a partecipare entrambi alla «comune» opera educativa. I giovani da semplici utenti o destinatari di un servizio educativo, devono diventare alleati, compagni di viaggio, collaboratori degli educatori.

Il primo compito dell’educatore è dunque quello di esserci, di stare accanto. La linea di demarcazione fra adulti e giovani non è molto netta. L’educatore e l’educando sono, per usare una metafora, nella stessa barca; se questa affonda, annegano entrambi. L’educatore non si trova, per utilizzare un’altra metafora, fuori del campo dove viene giocata la partita, né può ridursi al ruolo di arbitro imparziale. Se l’educando lungo la strada verso l’età adulta non si sente accompagnato dall’educatore, si sente esposto ai quattro venti. Se non ha la sicurezza che insieme vanno verso la maturità, si impaurisce.

  • Per edificare, non per distruggere

L’educatore è sempre personalmente implicato nella relazione educativa. La sua personalità, il suo passato, le sue paure, le sue ansie incidono sulla formazione dell’educando. Chi educa è sempre e soprattutto la persona. L’educazione preventiva non esiste se non come frutto di un incontro di persone che si pongono una di fronte all’altra con una presenza totale. Un’autentica relazione umana personale significa che io sono completamente presente all’altro, che sono pienamente con lui, che partecipo della sua esistenza personale, perché ho interesse per lui.

Il giovane facilmente scopre se le manifestazioni dell’educatore sono autentiche, provenienti cioè da quelle valide motivazioni e da quelle intime convinzioni che costituiscono l’identità stessa dell’educatore. In lui il giovane cerca non tanto il padre che pensa a tutto, l’organizzatore del proprio tempo libero, il professore che si preoccupa della sua istruzione, l’adulto che distribuisce ordini, o il sorvegliante che minaccia castighi, ma l’uomo capace di mettersi accanto a lui, più attento alla sua persona che alle esigenze generiche dell’educazione, disponibile ad offrirgli un contributo positivo allo sviluppo delle sue potenzialità. Proprio nella misura in cui l’educatore darà al giovane la sensazione di essere in grado di valorizzare tali potenzialità, allora vedrà aprirsi la strada ad una presenza propositiva.

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  1. Educare all’amore per la vita

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  • L’educazione è cosa di cuore

 

Solo dal cuore nasce l’amore per la vita. La verità non è solo una questione intellettuale. C’è una verità delle persone, della vita, dei rapporti umani, al centro del nostro essere che si chiama cuore. E’ qui che tutte le facoltà della persona hanno la loro radice. Di conseguenza un Salesiano Cooperatore educatore non può limitarsi a trasmettere dei saperi. Egli deve mettere in moto le energie segrete del cuore dei giovani affinché non si lascino frastornare o rimpicciolire dal gioco delle pulsioni che arrivano dall’esterno. Spetta al Cooperatore e, prima di lui, ai genitori, avviare le dinamiche personali e comunitarie che possono sviluppare questo processo.

 

  • L’amore per la vita comincia dalla riunificazione del soggetto

 

Troppo spesso tra scuola, famiglia, parrocchia esiste una schizofrenia che impedisce di avere un’immagine realistica del ragazzo. Questa schizofrenia finisce per favorire la malattia a cui molti giovani (e non solo giovani) oggi sono soggetti, che è la frantumazione dell’identità. C’è un eccesso di opportunità, di stimoli, di messaggi (spesso contradditori). La persona (giovane) non è più in grado di darne una valutazione critica e di farne una gerarchia. La visione della realtà, ma anche la sua identità, si sbriciola, si frantuma. Questo crea un profondo senso di insicurezza, una forte crisi di identità. Manca un centro interiore, un perno, che gli permetta di ricomporre e articolare in modo coerente le proprie esperienze e di progettare sensatamente (secondo sapienza) la propria storia.

La famiglia, la scuola, la parrocchia, hanno gli strumenti per rispondere a questa crisi della persona: Ragione – Religione – Amorevolezza. Queste tre parole sono la chiave educativa che illumina la mente, che tocca il cuore, che muove le mani. Una chiave che raccoglie e unifica i diversi aspetti della vita facendone scaturire il significato. Questo con gradualità nelle diverse stagioni della vita, altrimenti rischiamo di avere dei bambini-adulti che diventeranno degli adulti-bambini. Come Don Bosco, il Salesiano Cooperatore s’impegna a formare persone mature e responsabili nella società e nella Chiesa.

 

  1. Appellarsi alle risorse interiori della persona

Il sistema preventivo chiede agli educatori di «mettersi in gioco», di porre continuamente in discussione le proprie convinzioni, comprese quelle relative ai problemi giovanili, vivendo accanto al giovane in costante atteggiamento di fiducia e non di consigliere severo o giudice inflessibile. In particolare gli domanda di farsi figura di risonanza interpretativa di valori di cui è portatore, per preparare il giovane ad acquisire i criteri di scelta e strumenti atti a vivere con serenità nel momento in cui si allontanerà da lui. L’educazione mira a produrre nel giovane una risposta interiore, a suscitare un impegno che contenga la garanzia della continuità, della perseveranza e dello sviluppo per tutta la vita. In sintesi: nel sistema preventivo l’efficacia educativa dipende anzitutto dalla «qualità» della presenza dell’educatore al suo educando. L’educatore è la chiave di lettura dell’azione educativa posta in perfetta sintonia col suo «compagno di viaggio» che parla la stessa lingua.

 

  1. Favorire un ambiente familiare

Nello stile preventivo fra educatore ed educando i tende a creare un rapporto interpersonale ravvicinato, tipico di una famiglia che permette lo scambio e un’intesa a livello di intimità; è però naturalmente presente un codice di diritti e di doveri, che si traduce in una distribuzione articolata di ruoli e responsabilità.

 

  • Padre, fratello, amico

  1. L’educatore esercita anzitutto la paternità, vale a dire uno dei ruoli essenziali riconosciuto come tali dalla psicologia: quello di essere portatore di autorità e modello di identificazione. Per il fanciullo e il preadolescente l’adulto-educatore resta maggiormente polo di attrazione; per l’adolescente e il giovane rappresenta invece il polo dialettico per la ridefinizione della propria identità, palestra di confronto per le loro idee, spinta a capire meglio loro stessi mediante il confronto e lo scambio. Nel sistema preventivo non c’è l’alibi dello spontaneismo, del permissivismo, del presunto rispetto della freschezza infantile; ma neppure si opta per un autoritarismo altrettanto pernicioso. L’educatore non abdica alle proprie responsabilità, delegando ad altri i propri doveri o rimanendo in situazione oscillante fra tentativo di proposta e tendenza all’imposizione. E’ autorevole di fronte ai giovani perché

 

credibile, non si dimette dal proprio ruolo di padre col cercare la simpatia del giovane evitando di dire le verità scomode. Educare è fatica.

< >E’ necessario coniugare la paternità con l’amicizia e con la fraternità. Don Bosco domanda che l’educatore sia nello stesso tempo amico e fratello, in quanto sa che nel giovane è fondamentale l’esigenza di comunicazione, di amicizia, di sentirsi importante. I due amici/interlocutori si trovano così in una sorta di amicizia nell’uguaglianza e nella fraternità. Se il padre comanda e domina, il fratello e ancor più l’amico no. Nell’incontro fra amici a tu per tu, che l’educatore conduce con metodo per poter fare una corretta diagnosi del problema del giovane, si procede assieme ad un esame dei mezzi e delle vie di soluzione. La conclusione da parte del giovane sarà un impegno verso una nuova fase di vita, in compagnia dell’amico- educatore. Questi è presente in mezzo ai giovani, condivide con loro i giochi, il lavoro, l’amore alla vita, alla corretta esplosione delle energie fisiche, intellettuali, emotive, morali, le sofferenze… tutto.Condizione previaPorre le condizioni per stabilire un rapporto di volontà di cooperare e di «camminare insieme» è uno degli aspetti più delicati del problema. Da parte dell’educatore padre-amico-fratello si richiede di «accettare» e di «essere accettato»; analogamente, da parte del giovane, di lasciarsi coinvolgere. Dunque un’accettazione pedagogica bipolare:

«comprensione» paterna, fraterna, amichevole dell’educatore che si interessa del giovane da un lato, e «accettazione» dell’intervento educativo e della persona che lo fa, dall’altro lato.

Da parte dell’educatore punto di partenza è l’accettazione incondizionata dei giovani così come sono e non come vorrebbe che fossero. Un’accettazione che s’impone a livello di modalità dell’essere e non dell’avere: «Basta che siate giovani -scrive Don Bosco- perché io vi ami assai». Con questo si chiede all’educatore di fornirsi di bontà, di escludere ogni animosità e permalosità personale, di ammettere nel giovane difficoltà oggettive e soggettive che possono coesistere anche con un’autentica buona volontà.

Ma anche il giovane deve accettare l’educatore e il suo intervento in forza di un insieme di motivi: di razionalità e ragionevolezza, di autorità e di timore, di ascendente personale e di suggestione. Per far questo il giovane deve superare un insieme di meccanismi psicologici di difesa, perché il bene futuro costa la rinuncia a cose immediatamente piacevoli.

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