Art. 7. Testimonianza delle Beatitudini
Lo stile di vita del Salesiano Cooperatore, improntato allo spirito delle Beatitudini, lo impegna ad evangelizzare la cultura e la vita sociale. Per questo egli, radicato in Cristo e cosciente che tutti i battezzati sono chiamati alla perfezione dell’amore, vive e testimonia:
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una vita secondo lo Spirito come sorgente di gioia, di pace e di perdono;
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la libertà, in obbedienza al piano di Dio, apprezzando il valore e l’autonomia propri delle realtà secolari, impegnandosi ad orientarle soprattutto verso il servizio alle persone;
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la povertà evangelica, amministrando i beni che gli sono affidati con criteri di sobrietà e condivisione, alla luce del bene comune;
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la sessualità secondo una visione evangelica di castità, improntata alla delicatezza e ad una vita matrimoniale o celibe integra, gioiosa, centrata sull’amore;
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la misericordia, che apre il cuore a tutte le miserie materiali e morali e spinge ad operare con carità pastorale;
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la giustizia, per costruire un mondo più fraterno che riconosce e promuove i diritti di tutti, specialmente dei più deboli;
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la volontà decisa di essere costruttori di pace in un mondo agitato dalla violenza e dagli odi di classe. Questa via d’amore per Dio e per gli altri è un cammino sicuro verso la santità.
SCHEDA
Nuclei tematici
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Valori evangelici proposti a tutti i discepoli del Signore Gesù
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Evangelizzare con lo spirito delle Beatitudini
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Le Beatitudini del Salesiano Cooperatore
Chiavi di lettura
La Lumen Gentium ha dichiarato solennemente che, nella Chiesa, tutti i fedeli sono chiamati alla santità e alla carità perfetta, benché per vie diverse e in forme di vita differenti, e che a tutti i discepoli di Cristo sono stati proposti i cosiddetti “consigli evangelici”, anche se la loro pratica assume espressioni diverse rispondenti alla vocazione specifica di ognuno.
È in questo (e solo in questo) senso che il presente articolo parla delle Beatitudini e dei vari consigli evangelici, in quanto, cioè, possono essere vissuti effettivamente da tutti i fedeli laici, ma tenuto conto delle loro capacità, distinte vocazioni e differenti condizioni di vita: celibato per amore del Regno, fidanzamento, matrimonio, vedovanza. In breve, focalizza come i valori evangelici espressi dalle Beatitudini possono essere vissuti concretamente da apostoli
«secolari».
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Stile di vita personale improntato allo spirito delle Beatitudini
«È di grande importanza - dichiara la Gaudium et Spes che [i laici] (...) mentre svolgono le attività terrestri, conservino il retto ordine, rimanendo fedeli a Cristo ed al Vangelo, cosicché tutta la loro vita, individuale e sociale, sia compenetrata dallo spirito delle Beatitudini, specialmente dallo spirito di povertà» (cf. GS 72 a).
Ma è possibile raggiungere questo ideale? Certamente! Ma non fidandosi unicamente delle proprie forze, bensì fa- cendo affidamento sull'aiuto di Dio. «La carità di Dio - asserisce il decreto conciliare Apostolicam Actuositatem - rende capaci i laici di esprimere nella loro vita lo spirito delle Beatitudini» (cf. AA 4 ) .
Il PVA recepisce queste autorevoli dichiarazioni del Vaticano II con l'affermazione: lo stile di vita personale del Cooperatore è improntato allo spirito delle Beatitudini.
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Evangelizzare la cultura e la vita sociale con lo spirito delle Beatitudini
Il Concilio fa un ulteriore passo avanti e invita tutti i fedeli laici non solo a fare proprio lo spirito delle Beatitudini, mostrandosi docili all'azione meravigliosa dello Spirito Santo, ma anche a irradiarlo negli ambienti in cui vivono, a beneficio di tutti. L'affermazione è della Lumen Gentium: i laici «tutti insieme, e ognuno per la sua parte, devono ali- mentare il mondo con i frutti spirituali (cf. Gal 5,22), e in esso diffondere lo spirito di cui sono animati quei poveri, miti e pacifici, che il Signore nel Vangelo proclamò “beati” (cf. Mt 5,3-9)». (cf. LG 38)
Questo rovesciamento di valori può essere capito solo facendo riferimento a Cristo; le Beatitudini sono nulla senza di Lui, perché Lui solo dà loro un senso avendole vissute perfettamente: «imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro e pace nella vostra vita» (cf. Mt 11,29). In effetti, le Beatitudini poste all'inizio del discorso inaugurale di Gesù offrono, secondo Mt 5,3-12, il programma della felicità cristiana.
Inserire nel mondo attuale lo spirito delle Beatitudini non può avvenire senza un'evangelizzazione delle culture e della vita sociale. E ciò comporta un vero rinnovamento dell'umanità attuale in tutti i suoi strati.
Lo ha sottolineato con una pagina memorabile l'esortazione apostolica di Paolo VI intitolata Evangelium nunziandi. Merita di essere trascritta, perché ad essa si ispira il PVA quando dichiara che lo stile di vita personale del Salesiano Cooperatore, improntato allo spirito delle Beatitudini, è pure un impegno ad evangelizzare la cultura e la vita sociale. Evangelizzare, per la Chiesa, - recita la citata esortazione apostolica - è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell'umanità e, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità stessa: “ecco io faccio nuove tutte le cose”. Ma non c'è nuova umanità, se prima non ci sono uomini nuovi, della novità del battesimo e della vita secondo il Vangelo. Lo scopo dell'evangelizzazione è appunto questo cambiamento interiore e, se occorre tradurlo in una parola, più giusto sarebbe dire che la Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola presenza divina del Messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l'attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l'ambiente concreto loro propri.
«Per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste ed a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici ed i modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (cf. EN 18 - 20 ). Questo richiede conoscenze per essere capaci di incarnare il Vangelo nelle culture.
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Beatitudini del Salesiano Cooperatore d'oggi
Secondo il discorso della montagna, due Beatitudini principali comprendono tutte le altre: la povertà con il corteo delle opere di giustizia, di umiltà, di mitezza, di purezza, di misericordia, di impegno per la pace; e poi la persecuzione per amore di Cristo, ossia la disponibilità a soffrire e perfino a dare la vita per la testimonianza a Gesù.
Il sì delle Beatitudini implica il no agli atteggiamenti e comportamenti opposti: l'odio, la sufficienza, l'orgoglio, la durezza, l'intrigo, la volontà di dominio, la violenza, la lussuria, l'accidia.
Nel tradurre per il Cooperatore e la Cooperatrice d'oggi il messaggio evangelico delle Beatitudini, il PVA ha presente tutto questo, ma fa diretto riferimento ad alcuni dinamismi fondamentali della persona umana (uso della libertà, amministrazione dei beni, vita sessuale) e ad alcune situazioni sociali contemporanee variamente diffuse (efficien- tismo, aggressività, divisioni, violenza, sofferenza). In concreto, elenca le seguenti Beatitudini: una vita secondo lo Spirito; l'uso della libertà in obbedienza al piano di Dio; l'amministrare i beni in spirito di povertà evangelica; il vivere la sessualità secondo una visione evangelica di castità; il primato dato ai valori dello spirito: la misericordia, la giustizia, la pace, la fecondità apostolica della sofferenza, della non-violenza e del perdono.
L'ordine nell'elenco delle prime tre è quello adottato dalle Costituzioni salesiane, che si attengono alla sequenza pro- posta da Don Bosco. Il motivo di fondo è il distinto legame che obbedienza, povertà e castità hanno con la missione salesiana.
Prese nel loro insieme, queste Beatitudini costituiscono un progetto di vita evangelica e salesiana veramente capace di evangelizzare in profondità la realtà familiare e sociale in cui vivono e operano il Cooperatore e la Cooperatrice.
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La libertà, in obbedienza al piano di Dio
In questo articolo sono presentati in modo particolare gli aspetti “secolari” dell'obbedienza cristiana. Solo in un secon- do momento, e non certamente perché la si ritenga secondaria, si parla dell'obbedienza “ecclesiale” fatta di attenta e matura docilità verso i legittimi Pastori.
In che cosa consiste questa obbedienza secolare? Seguendo le indicazioni autorevoli del Vaticano II, il PVA la riconduce all'obbedienza al piano di Dio.
A questo riguardo è particolarmente pertinente un testo del decreto sull'apostolato dei laici: «Tutte le realtà che co- stituiscono l'ordine temporale, cioè i beni della vita, della famiglia, la cultura, l'economia, le arti e le professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali e così via, come pure il loro evolversi e progredire non soltanto sono mezzi con cui l'uomo può raggiungere il suo fine ultimo, ma hanno un “valore” proprio, riposto in esse da Dio, sia considerate in se stesse, sia considerate come parti di tutto l'ordine temporale: “e Iddio vide tutte le cose che aveva fatto, ed erano assai buone” (cf. Gen 1,31). Questa loro bontà naturale riceve una speciale dignità dal rapporto che esse hanno con la persona umana a servizio della quale sono state create. Infine piacque a Dio unificare in Cristo Gesù tutte le cose, naturali e soprannaturali, “affinché Egli abbia il primato su tutte le cose” (cf. Col 1,18). Questa destinazione, tuttavia, non solo non priva l'ordine temporale della sua autonomia, dei suoi propri fini, delle sue proprie leggi, dei suoi propri mezzi, della sua importanza per il bene dell'uomo, ma anzi lo perfeziona nella sua consistenza e nella propria eccellenza e nello stesso tempo lo adegua alla vocazione integrale dell'uomo sulla terra»
( cf. AA,7b).
Riconoscere ed obbedire a questo progetto divino sulla creazione implica un primo atteggiamento umano e cristiano espressamente proposto al Salesiano Cooperatore dal suo Progetto di Vita Apostolica: l'apprezzare il valore e l'autonomia propri delle realtà secolari.
Ciò comporta l'acquisire una corretta mentalità laicale e cioè, una mentalità che presenta queste caratteristiche: s'inte- ressa del valore oggettivo delle realtà secolari: salute e vita fisica, famiglia, lavoro, professioni, cultura, scienze, economia, industria, commercio, politica, relazioni tra i popoli, giustizia sociale, pace; si dedica ad esse con costanza anche se sono complesse ed esigono studio, pazienza, scienza, tecnica e sperimentazione; si dimostra attenta e rispettosa di fronte a quanto emerge dallo studio serio del reale; ha un alto senso della professionalità; è consapevole dell'utilità e finalità di ogni mestiere e delle esigenze, spesso onerose, ad esso inerenti; nutre un sano realismo
nell'affrontare l'esistenza, è seria nel programmare obiettivi da raggiungere, coltiva la collaborazione e apprezza l'organizzazione. Tutte queste qualità non si incontrano facilmente in chi crede di poter prescindere dai valori cosiddetti “laicali”.
Riconoscere e obbedire al piano divino sulla creazione vuol dire, nell'attuale situazione, evitare di farsi plagiare da molteplici forme contemporanee di secolarismo, laicismo e materialismo ateo. Esse assolutizzano la natura e le realtà secolari sganciandole da Dio o, nell'ipotesi atea, liberandole dal suo dominio, dimostrando una grave incapacità di comprendere il senso della creazione e l'unione tra Dio e le realtà da Lui create e affidate alla responsabilità umana.
In quest'ordine di idee vi è un secondo passo importante del decreto conciliare citato: «Nel corso della storia - esso recita - l'uso delle realtà temporali è stato viziato da gravi manchevolezze, perché gli uomini, in conseguenza del peccato originale, spesso sono caduti in moltissimi errori intorno al vero Dio, alla natura dell'uomo e ai principi della legge morale: da qui corrotti i costumi e le istituzioni umane e non di rado calpestata la stessa persona umana. Anche ai nostri giorni, non pochi, ponendo un'eccessiva fiducia nel progresso delle scienze naturali e della tecnica, inclinano verso una specie di idolatria delle cose temporali, fattisi piuttosto schiavi che padroni di esse» (cf. AA, 7c).
Di fronte a queste e analoghe situazioni deformate dall'intervento umano peccaminoso è impegno specifico del cri- stiano laico, anch'esso espressamente proposto al Cooperatore dal suo PVA, orientare [le realtà secolari] sempre al servizio delle persone. È questo un secondo aspetto della «laicità» propria dei Cooperatori e delle Cooperatrici connessa con la loro vocazione specifica volta all'animazione cristiana dell'ordine temporale.
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Povertà evangelica e secolare
Prima di tutto la povertà proposta al Cooperatore e alla Cooperatrice è la povertà evangelica, cioè, quella praticata dal Signore Gesù e da Lui proclamata come “beatitudine”. Prima di essere un fatto economico e sociale, è un atteggia- mento spirituale e religioso. I “poveri” in senso biblico, sono le persone miti, consapevoli dei propri limiti e fiduciose in Dio. Gesù di Nazareth si presenta come il Messia dei poveri ed egli stesso povero, perché «mite ed umile di cuore» (cf.Mt 11,29) e re «pacifico» (cf.Mt 21,5). Egli, che pure apprezza le cose e le usa con semplicità, esige dai suoi disce- poli innanzi tutto questo atteggiamento spirituale: «beati i poveri in spirito» (cf.Mt 5,3 ), cioè, «coloro che hanno un animo povero». In altre parole, esige da loro un atteggiamento di libertà radicale nei confronti dei beni temporali (che si posseggono o di cui si è sprovvisti), il sentimento della propria indigenza e debolezza, e la coscienza di avere bisogno dell'aiuto di Dio. In questo modo divengono capaci di desiderare e di ricevere le vere ricchezze che vengono dall'alto. L'accento posto dal Vangelo sull'aspetto spirituale della povertà non deve fare dimenticare il valore religioso della povertà effettiva, nella misura in cui essa è segno e mezzo di libertà interiore. Betlemme (cf. Mt 27,35), Nazareth (cf.Mt 13,55), la vita pubblica (cf.Mt 8,20), la Croce (cf. Mt 27,35) sono altrettante forme diverse della povertà abbracciata, vissuta e sofferta dal Signore. Cristo mette in guardia tutti i suoi discepoli contro il pericolo delle ricchezze (cf. Mt 6,19ss) e propone loro una povertà effettiva . E tale fu di fatto la condizione di vita degli apostoli, di san Paolo che viveva del suo lavoro (cf.1 Cor 4,12), e l'ideale che si prefiggeva di imitare la primitiva comunità cristiana in cui «nessuno chiamava suo ciò che gli apparteneva» (cf. Atti 4,32).
Se la povertà materiale, purché accettata con animo generoso, è già quaggiù motivo di autentica gioia spirituale e di speranza per un'ineffabile ricompensa eterna,essa rimane nondimeno una condizione inumana, ed il Vangelo rimarca le esigenze della giustizia sociale: i ricchi hanno quaggiù imperiosi doveri verso i poveri ; di più, il servizio ai poveri è una manifestazione dell'amore a Cristo, perché in essi si soccorre Cristo (cf. Mt 25,3 par.).
La povertà evangelica apre gli orizzonti sul significato dei beni creati da Dio a favore di tutti gli uomini; stimola, quindi, a cercare strutture alternative rispetto alle situazioni materialiste imperanti nel mondo d'oggi.
Infine, il principio e l'obiettivo della povertà evangelica è la partecipazione al mistero della «liberalità del nostro Signore Gesù Cristo»: «per voi egli, ricco qual era, si è fatto povero per arricchirvi mediante la sua povertà» (cf. 2 Cor 8,9).
Chiarito il significato biblico dello “spirito di povertà”, occorre subito aggiungere che quella indicata al Cooperatore ed alla Cooperatrice è una povertà secolare: quindi una povertà conforme alle loro condizioni di persone che vivono in un determinato contesto umano, con proprie responsabilità familiari e sociali. Come tale, si distacca nettamente, per esempio, da quella dei religiosi e delle religiose. Inoltre, non riguarda unicamente i beni materiali, ma anche quelli spirituali, culturali, morali, che sono più preziosi delle semplici ricchezze. Ancora, non interessa soltanto l'uso dei beni, ma anche il loro acquisto e la loro destinazione. Tutto questo è detto con la frase amministrando i beni che gli sono affidati con criteri di sobrietà e condivisione, alla luce del bene comune.
Il testo indica anche le esigenze di questa povertà evangelica e secolare rapportata alle situazioni attuali. Sono, in sostanza queste: la coscienza di essere non proprietari ma semplici gestori dei propri beni e di essere sottomessi alla legge del lavoro con le sue esigenze, difficoltà, privazioni; la testimonianza di semplicità, di misura, di sobrietà, che rifugge dal lusso e dall'ostentazione, vera ingiuria per enormi masse di indigenti e bisognosi; lo spirito di solidarietà che spinge a non accumulare egoisticamente averi e a non conservare inutilizzati i beni; la condivisione generosa dei medesimi nella luce del bene comune.
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Visione evangelica di castità
Cristo Signore accorda la sua intimità a coloro che gli si donano nella semplicità della fede e dell'amore, «ai puri di cuore» da Lui proclamati «beati», «perché vedranno Dio» (cf. Mt 5,8). Secondo la fede biblica che crede buona tutta la creazione e specificamente tutta la realtà sessuale, cioè la condizione umana fondamentale di uomo e di donna, la castità è un fatto interiore e morale, ed è pienamente realizzabile quando la propria esistenza è segnata dalla viva presenza del Signore.
Va ricordato, a scanso di equivoci, che ogni situazione cristiana comporta il suo tipo di castità; c'è la castità dei fi- danzati, quella degli sposi, quella dei celibatari. Il testo del PVA la propone come ideale raggiungibile ad ogni Cooperatore e Cooperatrice, tenuto conto della loro specifica forma di vita. Non esclude che, per coloro che si sentissero chiamati da Dio a farlo, essa possa giungere fino alla rinuncia a crearsi una propria famiglia in vista di una donazione particolare al servizio di Dio e del prossimo.
Non la identifica con l'innocenza ingenua, né con l'ignoranza della realtà biologica e psicologica legata al proprio es- sere uomo o donna, né con un suo possesso tranquillo. Suggerisce piuttosto l'idea di una sua continua conquista attraverso un illuminato cammino educativo. Non presenta l'impegno per raggiungerla come un peso opprimente che renda ansiosi e sfiduciati o, peggio, acri e insoddisfatti a causa di possibili fragilità, ma piuttosto come una forza spirituale liberante che conduce al dominio di sé, e che si esprime in comportamenti improntati a naturalezza e delicatezza.
La vede non semplicemente come portatrice di serenità (anche questo senza dubbio), ma come sorgente di vera gioia: è la “beatitudine” di cui parla il Vangelo.
La valuta soprattutto come centrata sull'amore, che trova espressioni diverse nel celibato, nel fidanzamento, nel matrimonio, nella vedovanza, ed è aperta a molteplici forme di autentica amicizia umana e cristiana.
Misericordia, giustizia, pace Completando questo discorso sulle Beatitudini evangeliche rapportate ai contesti attuali del Cooperatore e della Cooperatrice, l'articolo prende ora in considerazione tre situazioni socio-culturali prodotte da un diffuso materialismo e causa di non pochi mali sociali: l'efficientismo (da non confondere con l'efficienza operativa che è un valore), l'aggressività e la divisione.
Vi contrappone tre atteggiamenti ispirati dal primato dato ai valori dello spirito e qualificati dal Vangelo come “bea- titudini”: la misericordia, la giustizia e la pace, motivati da una corretta comprensione della croce di Cristo, che è manifestazione suprema di amore.