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IL SALESIANO COOPERATORE E LA SALESIANA COOPERATRICE

NELLA FAMIGLIA SALESIANA E NEL MONDO

«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi,

e vi ho destinati a portare molto frutto,

un frutto duraturo» (Gv15,16).

 

Lo Spirito Santo ha suscitato Don Bosco. Gesù ha scelto i suoi discepoli e li ha destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo. Come discepoli di Gesù e figli di Don Bosco i Salesiani Cooperatori sono chiamati a portare molto frutto. Quale grande dono e stupenda missione ci è stata affidata! Per capire il Progetto di Vita Apostolica e per viverlo autenticamente dobbiamo lasciarci illuminare da questo grande mistero. In una famosa pagina del profeta Ezechiele, il profeta descrive il legno della vite. Che pregi ha? Nessuno. Il legno della vite è l’unico legno tra gli alberi della campagna con i quali non si può fare nulla; non ci si può fare un oggetto, un attrezzo utile. Il legno della vite è buono soltanto per far passare la linfa vitale ai tralci e produrre frutta. Quindi il legno della vite è il legno inservibile, se non per portare frutto. Ed è a questa immagine del Profeta Ezechiele che Gesù si riallaccia nel famoso discorso della vite e dei tralci, contenuto nel capitolo quindici del Vangelo di Giovanni. Nella cultura d’Israele la vite era immagine del popolo, del popolo di Israele. C’è il famoso cantico d’amore del Signore per la sua vigna, contenuto nel capitolo cinque del Profeta Isaia; anche il Profeta Geremia parla di Israele come di una vite. Bene, Gesù dichiara di essere “la vera vite”, quindi ci sono delle false viti. Gesù continua quel processo di sostituzione delle realtà di Israele con la propria persona: - non la manna dal cielo, ma lui è il vero pane che da vita al popolo; - lui è la vera luce al contrario della legge; - lui è la vera vite - lui è il vero popolo piantato dal Signore. E il Padre “è l’agricoltore”. Allora ci sono dei ruoli ben distinti: Gesù è la vite, dove scorre la linfa vitale, il Padre è l’agricoltore. Qual è l’interesse dell’agricoltore? Che la vigna porti sempre più frutto e, infatti, scrive l’evangelista, “ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie via”. Qual è il significato di questa espressione? L’evangelista sta parlando della comunità cristiana, dove c’è un amore che è comunicato dal Signore, un amore ricevuto dal Signore, e quest’amore si deve trasformare in amore dimostrato agli altri. E questo è caratteristico dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia si accoglie un Gesù che si fa pane, fonte di vita, per poi essere disposto a farsi pane, fonte di vita per gli altri. Ci può essere il rischio che nella comunità ci sia una persona che assorba questa linfa vitale, assorba questa energia, assorba quest’amore, assorba questo pane, ma poi non si faccia pane per gli altri, non trasformi l’amore che riceve in amore per gli altri. E’ un elemento passivo, che pensa soltanto al proprio interesse, a se stesso, e quindi non comunica vita. Ebbene, non gli altri tralci, e neanche Gesù, ma il Padre, prende e lo toglie via, perché è un tralcio che è inutile. L’amore che si traduce in servizio è la garanzia di essere in pieno contatto con il Signore. E Gesù ripete e dice “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me”. Quindi Gesù torna di nuovo a insistere che questo amore da lui ricevuto si deve trasformare in amore comunicato, altrimenti si è inutili. Ritorna Gesù a rivendicare il suo titolo, la condizione divina: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui”, in questo processo dinamico di fusione di Dio Dio chiede soltanto di essere accolto nella vita del credente, per dilatarne l’esistenza - “porta molto frutto”. Si dà la vita agli altri, più si dà e più si riceve. Si ha soltanto quello che si è donato, più il dono della vita agli altri è grande, è illimitato, più la risposta di Dio sarà illimitata. Poi Gesù avverte: “Chi non rimane in me è gettato via come il tralcio e secca”. Questa espressione che abbiamo tradotto con ‘secca’, letteralmente ‘inaridisce’, l’evangelista la prende dal Profeta Ezechiele, quando vede la situazione del popolo, come una vallata piena di ossa secche, nel capitolo 37, indicando il popolo senza Spirito. Ebbene, chi non rimane in Gesù, chi ricevendo quest’amore non lo comunica agli altri, si inaridisce, perché si possiede soltanto quello che si dona agli altri. E poi, ecco la garanzia di Gesù, che purtroppo noi 7 nel linguaggio popolare abbiamo un po’ ridimensionato. Tutti quanti conosciamo l’espressione “Chiedete quello che volete e vi sarà dato”, però dimentichiamo le due condizioni che Gesù pone: - “se rimanete in me”, quindi se c’è questo amore da lui ricevuto che si trasforma in amore comunicato agli altri, “ se le mie parole rimangono in voi”, quindi rimangono come indirizzo dell’orientamento della vita, dell’esistenza, un amore che si fa servizio per gli altri a questo punto, solo a questo punto, preceduto da queste due condizioni, Gesù dice “Chiedete quello che volete e vi sarà dato”. Quindi, quando si vive in sintonia con il Signore, quando la vita dell’uomo si fonde con quella di Dio fino a diventare una sola cosa, l’unico che si chiederà sarà il dono dello Spirito, una capacità ancora più grande d’amare. Perché al resto ci pensa il Padre. Il Padre non risponde ai bisogni e alle necessità dei suoi figli, ma li precede. Questo dà tanta sicurezza. Ed ecco il finale: “In questo è glorificato il Padre mio”. C’era l’immagine che Dio dovesse essere glorificato attraverso opere straordinarie, magnificenze gloriose, no, l’unica maniera per manifestare la gloria di Dio, la rivelazione del suo amore, è un amore che gli assomiglia, “Che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”. L’unica maniera per dar gloria a Dio è manifestare nella nostra vita un perdono, una misericordia, una condivisione che in qualche maniera gli assomiglino. Questa è la scelta di fondo che attraversa tutto il Progetto di Vita Apostolica ed il primo capitolo. E’ una realtà misteriosa, ma vera ed esaltante. Qui nasce il «carisma salesiano». E’ lo Spirito Santo che chiamando il Cooperatore a divenire discepolo di Don Bosco, ne anima l'impegno apostolico che dà frutto, la comunione all'interno dell'Associazione e con gli altri membri della Famiglia Salesiana, e lo spirito salesiano. Il primo capitolo definisce in maniera generale e globale, l'identità qualitativa ed originale dei Cooperatori e dell’ Associazione. Esso delinea a larghi tratti chi è il Salesiano Cooperatore, ciò che fa e come lo fa, qual è il suo posto ed il suo ruolo nella Famiglia Salesiana, nella Chiesa e nella società. Riveste, quindi, un'importanza fondamentale: pone le basi dell'edificio costituito dall'Associazione dei Salesiani Cooperatori

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